Informazione
Pene severe per chi imbratta i muri delle nostre città
Facciamo chiarezza con l’avvocato.
Nel corso di questi anni abbiamo appurato che c’è un pò di confusione e poca informazione su quelli che sono i rischi che corrono coloro i quali imbrattano i muri.
Abbiamo chiesto aiuto all’Avvocata Chiara Corradini e lei molto gentilmente ha accettato il nostro invito. La ringraziamo, ecco il suo valido e chiaro contributo:
“Forse non tutti sanno che eseguire graffiti sui muri è reato (ovviamente nel caso in cui tale attività non sia stata autorizzata come avviene, ad esempio, in alcune aree messe a disposizione dalle amministrazioni comunali ed in cui i graffitari possono esprimere il proprio talento artistico); ma cosa rischiano, in concreto, i c.d. “writers”?
Ebbene, l’autore delle scritte rischia di dover affrontare un processo penale, con tutte le conseguenze del caso.
L’articolo 639 del Codice Penale (che punisce il reato di “Deturpamento e imbrattamento di cose altrui”) prevede infatti che chi imbratta immobili – ma anche mezzi di trasporto pubblici o privati – rischia la reclusione da uno a sei mesi o una multa da 300 a 1.000 Euro, sanzioni che aumentano se il graffito è stato realizzato su monumenti o in aree di interesse artistico, per cui è prevista la pena della reclusione fino ad un anno e una multa da 1.000 a 3.000 Euro (ed in quest’ultimo caso si procede d’ufficio, mentre nel primo caso menzionato per avviare l’azione penale è necessaria una querela di parte).
Il Decreto Legge 14 del 20 febbraio 2017 ha poi apportato un’ulteriore modifica al predetto articolo, prevedendo la facoltà del giudice di imporre al condannato l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi, ovvero, qualora ciò non sia possibile, l’obbligo di sostenere le spese o a rimborsare quelle sostenute o, se il condannato non si oppone, la prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa.
Il testo dell’articolo 639 c.p. è di fatto “sfuggito” alla depenalizzazione di numerose fattispecie di reato operata dal Decreto Legislativo n. 7/2016 e, successivamente, nel 2018, la Corte Costituzionale ha confermato la rilevanza penale delle condotte dei “writers”, dichiarando – con Sentenza n. 102– l’inammissibilità delle due questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Milano e Aosta in relazione al regime sanzionatorio previsto dalla citata norma.
Vi è da dire che, nel caso in cui venga avanzata domanda di rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 639 c.p., può trovare applicazione l’istituto della c.d. sospensione del processo con richiesta di “messa a prova”, grazie al quale si può ottenere una sentenza di proscioglimento per estinzione del reato (in parole povere nessuna condanna comparirà sul casellario giudiziale dell’imputato in caso di esito positivo del periodo – appunto – di messa alla prova). Tale istituto tuttavia, per trovare applicazione, presuppone, da un lato, l’esecuzione di un lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività e, dall’altro, il risarcimento del danno da parte dell’autore del fatto. Inoltre, tale beneficio può essere concesso solo una volta ed è escluso nei casi in cui l’imputato sia stato dichiarato dal giudice delinquente abituale o per tendenza (ai sensi degli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.).
Al contrario, in caso di una sentenza di condanna, sono comunque applicabili le sanzioni alternative (come l’affidamento in prova ai servizi sociali); ovviamente, in tal caso tale statuizione di condanna, una volta divenuta definitiva, verrà annotata sul casellario giudiziale dell’imputato, con tutte le evidenti ripercussioni negative che ciò può comportare.
Per quanto riguarda invece la giurisprudenza relativa al tema che ci occupa, si segnala che la Corte di Cassazione – Seconda Sezione Penale, con la Sentenza n. 16731 del 20 aprile 2016, ha escluso la punibilità del graffitaro – ritenendo sussistente la particolare “tenuità del fatto” – nel caso in cui sul muro su cui opera il writer vi siano scritte preesistenti. Di contro, si segnala invece un’interessante pronuncia (Sentenza numero 23069 del 23 maggio 2018) con cui la Corte di Cassazione ha annullato una sentenza emessa dal Tribunale di Firenze che aveva assolto un cittadino straniero il quale aveva stato imbrattato il muro di un loggiato di interesse storico – artistico già deturpato, ritenendo che, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 639 c.p., “la sussistenza del dolo non è esclusa dalla presenza di altre scritte già presenti”.
Non solo.
Alle sanzioni penali di cui sopra se ne affiancano altre di carattere amministrativo – che variano di comune in comune – che sono state introdotte da molteplici ordinanze volte a tutelare il decoro urbano e con cui le amministrazioni comunali tentano di porre un argine al fenomeno dei graffiti.
Ad esempio, a Roma si rischia una multa da 300 a 500 euro, oltre che l’obbligo per il graffitaro di ripulire entro 15 giorni la parete, pena un ulteriore addebito da parte del Comune alla fine dei lavori; inoltre, così come a Milano (Comune in cui è stata pure redatta una “banca dati” dei c.d. “tags”, ovvero delle firme dei graffitari), anche la capitale ha deciso di costituirsi parte civile in tutti i processi colti in flagranza di reato.”
Avvocata Chiara Corradini